Programma

Mercoledì 28 dicembre 2022

Ore 9,00—Saluto e messaggio di madre Nives

Ore 9,45 — Il nostro essere contemplative nell’azione Spunti e condvisione

Ore 10,45—Pausa

Ore 11,00 — La preghiera del Padre nostro, contributi esperienziali

Ore 12,15—Pranzo

Ore 15,30 — Ripresa dei Iavori, continuando a riflettere sul carisma

Ore 16,45—Decreti del Capitolo, una rivisitazione 18,30 -Celebrazione Eucaristica in sinodalità con i CRL

nella Parrocchia di San Giuseppe 19,15—Cena

21,00—Un video di festa

 

Giovedì 29 dicembre 2022

Ore 8,00 -Santa Messa in Parrocchia Ore 9,30 — Le Comunità si raccontano Ore 10,45—Pausa

Ore 11,00—RaccogIiamo desideri e proposte, alcuni richiami

Ore 12,15—Pranzo

Ore 15,30 -L’esperienza della missione in Congo.

Sr. Nives Ferrari Ore 16,30 -Pausa

Ore 16,45—Tempo di sinodalità, alcune riflessioni con don Giampaolo Sartoretto

18,30—Celebrazione dei Vespri 19,15 -Cena

Ore 21—Momento ricreativo in fraternità

Assemblea ICA 2022

Nei giorni 28-29 dicembre a Roma, nella casa generalizia, si è tenuta la consueta assemblea generale sul tema: “Luci sul carisma

Essere contemplative nell’azione

Si è riflettuto sul fondamento del nostro essere contemplative nell’azione, frutto tipico inerente il carisma. La nostra contemplazione si innesta su quel mistero d’amore che abbraccia tutto il creato in cui l’uomo e la donna sono le creature per eccellenza: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” (Gen 1,26), una realtà bellissima che l’uomo ha deturpato e ha potuto riappropriarsene solamente quando Dio stesso, nel Figlio suo, ha deciso di farsi Lui a nostra immagine e somiglianza eccetto che nel peccato. Contemplando il Figlio, nei misteri di vita del tempo in cui è vissuto su questa terra, andiamo gradatamente restaurando in noi quell’immagine di figli che Dio ha sognato per noi e che risplende nel Signore Gesù donatoci per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (Ef 3, 19)

Ci si è domandate se siamo abbastanza consapevoli di questa nostra dignità. Ignazio di Loyola nel suo libretto degli Esercizi spirituali al n. 23 ci consegna il Principio e Fondamento su cui possiamo agevolmente entrare nella dinamica del nostro essere contemplative nell’azione: L’uomo è creato per lodare, riverire (da vereri che significa avere timore, onorare) e servire Dio nostro Signore. Tutto il resto è stato creato per l’uomo solo per essere aiutato a conseguire il suo fine, usando delle cose tanto quanto lo aiutano a questo. La finalità della nostra vita non è avere buona salute, abbondanti ricchezze, onori, potere, vita lunga, il fine è l’altro, per questo di fronte alla realtà della vita nella sua quotidianità fatta di relazioni, noi siamo invitate ad essere interiormente libere, indifferenti, dice sant’Ignazio, al punto da non desiderare più salute che malattia, più ricchezza che povertà, più onore che disonore, più vita lunga che breve e così in tutto il resto. Queste cose appartengono alla Provvidenza di Dio che tiene sul palmo della sua mano la vita di ciascuno di noi e Lui, meglio di noi, sa che cosa più ci è utile per salvare la nostra anima, secondo l’espressione di Ignazio negli Esercizi.

Al nostro incontro si è voluto mettere questo cappello perché qui, tutto nella nostra vita di consacrate Medee, si gioca, questo è il suo principio e fondamento è il principio e fondamento del carisma che ci riguarda. Chissà Medea e Compagne quanto hanno contemplato intorno a questo elemento fondante. Se ben ricordiamo Medea ha messo il santo timor di Dio come l’atteggiamento che deve regolare tutta la loro azione apostolica: “Il suo principale essercitio sia insegnare a figliole lavorare, leggere allevandole nel santo timor di Dio” (RO 3) e si è visto che la parola riverire significa avere timore. Si può affermare che, in sintesi, nel Principio e Fondamento è contenuto tutto il cammino degli Esercizi delle 4 settimane.

Dunque nel lodare, riverire, servire Dio nostro Signore, troviamo il nostro contemplare, rispettare, operare. La lode è il risultato del contemplare e questa porta in sé la riverenza, l’onore verso ciò che si è contemplato, fino a contemplata tradere ossia la consegna del frutto della mia contemplazione quale azione feconda di vita per tutti che conduce a vedere e contemplare Dio in tutte le cose. Come non sentire riecheggiare in noi quel “hanno da vivere in comune ogni cosa” (RO, primo), per divenire con il Figlio Servo perfetto del Padre (Fil 2, 5-11), con Maria perfetta serva del Signore (Lc 1, 38) così anche noi, come Medea ci indica, perfette serve del Signore (RO, 2).

Ad maiorem Dei Gloriam

Un piccolo tentativo attraverso le lettere di San Paolo: Fil 1, 9-11; 2, 14-15; Ef 1, 14 di scoprire a quale realtà Paolo collega il termine “Gloria”, si è visto che è collegato in Fil 1, 9-11 a carità che si arricchisce attraverso la conoscenza, ogni genere di discernimento per distinguere il meglio e così essere integri e irreprensibili…ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo a gloria e lode di Dio. In Fil 2, 14-15, si collega a fare tutto senza mormorazioni e senza critiche per essere irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati per splendere come astri nel mondo e in Ef 1, 14, Paolo parla di attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria. È nota poi l’espressione di Sant’Ireneo: La gloria di Dio è l’uomo vivente. Dove dunque cercare il principio della Gloria di Dio?

L’ Ad maiorem Dei Gloriam, tutto alla maggior gloria di Dio fa parte del vocabolario del nostro carisma, anzi ne è l’espressione prima ed ultima di esso. Ma dove abita? La gloria di Dio abita la nostra interiorità. Non ci attrae troppo il viaggio verso l’interiorità perché è faticoso e spaventa, là dentro si insedia di tutto, si preferisce l’esterno, ma Dio abita la mia interiorità e là vuole essere cercato e trovato, avendo il coraggio e la forza di smantellare tutti quei vizi che mi impediscono di splendere come astro nel mondo. Questo lavoro di ripulitura interiore non lo compio io, qualcuno lo ha già fatto per me. A me è chiesto di esserne consapevole ed entrare in collaborazione con Lui, tenendo alta la Parola di vita (Fil 2, 16), nutrendomi con il pane di vita e bevendo il vino della salvezza che mi proiettano nella relazione dove la contemplazione è consegnata, diventando ascolto, partecipazione, appartenenza all’altro, gentilezza, benevolenza, comprensione, coraggio, serva amorevole dei fratelli nei quali vive lo stesso Gesù che ho contemplato nei suoi misteri di vita. È un cammino che dura nel tempo dove sono chiamata a testimoniare questo processo in atto, maturazione graduale fino alla piena conformazione a Lui.

Ha coronato il nostro piccolo Sinodo il contributo di Don Gianpaolo Sartoretto, il nostro Parroco che ci ha aiutato ad entrare più in profondità nel concetto di sinodo, sinodalità così attuale oggi nella Chiesa. Ha evidenziato che il Sinodo, nella sua realtà, è legato al particolare, riguarda sempre qualcosa di locale, storico, temporale, spaziale non è evento finalizzato alla conformità, ma alla comunione (i consigli, per esempio, sono altra cosa, più universali, riguardano decisioni che incidono sui massimi sistemi). Come, qui ed ora aiutare le persone a vivere la fede in maniera incarnata, come posso qui ed ora aiutarle a fare un’esperienza profonda di incontro con il Signore Gesù. Ogni realtà come ogni persona sono diverse e l’impegno sinodale è quello di gestire le differenze, il dissenso; accogliere ed accettare il diverso, cercando percorsi diversi, cammini differenti. La Chiesa è cammino non uniformità e chi detta legge è la persona nella sua totalità, l’uomo è la via di Dio.

Siamo chiamati oggi qui, in questa nostra società ad avere occhio e cuore alle fragilità delle persone. È presente grande povertà umana, morale, spirituale. Sinodo è entrare, come chiesa, a ragionare su queste debolezze, fragilità da cui nessuno è esente e dunque siamo chiamati a coinvolgere e coinvolgerci, è proprio il caso di dire: “Portare i pesi gli uni degli altri”. Non dobbiamo delegare, ma farsi carico. La conversione sinodale ci porta a dire: non riesco a fare da solo, è una strada che non riesco a fare da solo, è percorso con le diversità, necessariamente con lo squilibrio. Tocca accettare il rischio la cui conseguenza non sia la conferma di quello che c’è, ma l’innesco di qualcosa di diverso. La nostra espressione: “Abbiamo sempre fatto così” è oggi, in particolare, veramente diabolica. Un Padre della Chiesa ha detto questo: “Custodire la tradizione è adorare la cenere”.

Il Sinodo è una Pasqua, qualcosa deve saltare come è saltata la pietra del sepolcro. Domandiamoci quanto siamo disposte a mettere in discussione i nostri equilibri, le nostre consuetudini, quanto siamo disponibili a sbagliare,

avere il coraggio di cercare: la verità si fa strada attraverso le prove e gli errori per risorgere. Là è iscritta la nostra resurrezione (naturalmente io dico, sempre all’interno della finalità della nostra vita, quella che ci siamo ricordate).

L’innovazione nella Chiesa ci deve essere anche sbagliando per rendere il nuovo più semplice, più comprensibile, più usufruibile da tutti (è stato fatto l’esempio della semplicità raggiunta nell’usare il telefonino, è accessibile a tutti, ma se uno lo apre e vede la complessità dei suoi ingranaggi si rende conto di tutto il lavoro di prove, di sbagli che vi sta dietro). Vedere questo in un cammino di fede: deve essere semplice incontrare Gesù Cristo, vivere i sacramenti, in particolare il sacramento del matrimonio. Come aiutare le persone in modo che si innovi la nostra esperienza per riconsegnarla. I fondatori hanno fatto quello che prima non c’era. Lo squilibrio ci può aiutare a recuperare il coraggio del fondatore, ossia fare per ispirazione dello Spirito quello che prima non è mai stato fatto. Mi invento quello che prima non si faceva, lo faccio per rispondere adesso. Tutta la Chiesa deve convertirsi al Sinodo, anche il papa. Noi abbiamo tutti gli strumenti di cultura sinodale, ma la base del nostro essere sinodali è essere umani: Non è bene che tu sia solo…

 

Buon anno sinodale alla luce di questi ragionamenti condivisi.